Gli aneddoti sulla vita e sull’opera di Jean-François Champollion sono della natura più varia. Si parla di predizioni sulla sua fama quando era ancora nel ventre materno; di segni premonitori (il neonato avrebbe avuto la cornea gialla, propria solo degli orientali); di caratteristiche frenologiche che lo indicavano come "genio linguistico". Nacque a Figeac (Delfinato) nel 1790 e fu senz’altro un enfant prodige, ma non era scritto nelle stelle: lo divenne per la sua determinazione e per la sua prodigiosa sete di sapere. Lo dovette anche al fratello maggiore Jacques-Joseph, un filologo molto dotato, che lo prese con sé a Grenoble, ed ebbe cura della sua educazione (gli fece studiare l’arabo, il siriaco, il caldeo e il copto) sostenendolo economicamente. A mostrare a Jean-François Champollion una copia dalla Stele di Rosetta fu, nel 1801, il famoso fisico e matematico Jean-Baptiste Fourier (1768-1830), che aveva partecipato alla campagna d’Egitto ed era diventato segretario dell’Istituto Egizio del Cairo. Il giovane ne fu ossessionato e dedicò allo studio della pietra tutto il suo tempo. Dopo un soggiorno di studio a Parigi, nel 1809, a diciannove anni, venne nominato per meriti accademici professore di storia all’università di Grenoble, anche se osteggiato dai suoi vecchi insegnanti che avevano ordito contro di lui una serie di intrighi. Compromessosi durante i Cento giorni di Napoleone, alla restaurazione dei Borboni fu congedato come professore e proscritto per alto tradimento. Cominciò allora la fase finale della decifrazione dei geroglifici che si concluse nel 1822 con la pubblicazione dello scritto Lettre à M. Dacier relative a l’alphabet des hiéroglyphes phonétiquse. Dopo anni di lavoro a tavolino, nel 1828 Champollion poté finalmente visitare l’Egitto; fu una marcia trionfale: gli indigeni accorrevano festanti per vedere colui che "sa leggere la scrittura delle pietre antiche". Morì prematuramente quattro anni dopo.